CIRCOLO ARCIGAY IL CASSERO - STORIA Home

Nel 1977 nasce a Bologna il collettivo frocialista, promosso da Samuel Pinto, meglio noto come Lola Puñales, giunto in Italia dopo una fuga rocambolesca dal Cile di Pinochet. Il collettivo è formato per lo più da studenti ed insegnanti e si riunisce nella sede del partito socialista di via Castiglione.

Nel maggio dell'anno successivo il collettivo organizza un incontro nazionale. Ad accogliere i partecipanti nel Salone dei Seicento di Palazzo Re Enzo un simbolo di autentica ispirazione frocialista: la falce con, al posto del martello, un finocchio in fiore. A fine convegno un corteo di oltre duecento omosessuali attraversa il centro di Bologna.

Nel 1978 il collettivo cambia nome in circolo di cultura omosessuale 28 Giugno. Continua a riunirsi nella sede di via Castiglione. Nel circolo si fa strada l'idea di cercare una sede nella quale, accanto alla politica, sia possibile incontrarsi, trovarsi tra gay, favorire tra gli omosessuali la crescita di quella autostima necessaria ad affrontare la oppressione quotidiana. Il circolo decide quindi di chiedere una sede alla amministrazione comunale, così come tante altre associazioni culturali, sindacati, partiti...

Il 28 giugno 1980, nel corso della festa nazionale dell'orgoglio gay che si tiene a Bologna, una delegazione ricevuta dal sindaco Renato Zangheri (un incontro storico: non era mai accaduto) ottiene una risposta positiva alla richiesta di avere una sede per dare vita ad un centro polivalente omosessuale. Il fotografo può immortalare il celebre bacio tra il sindaco e Ciro Cascina. Ha inizio allora una lunga trattativa con l'assessore al patrimonio che indica alcuni locali disponibili.

L'ipotesi del Cassero si presenta in modo del tutto casuale, nel corso di una delle numerose visite in assessorato. Un funzionario scartabellando tra mappe catastali mostra ai rappresentanti del 28 Giugno il cassero di Porta Saragozza. E' proprio un bel posto ed i soci del circolo se ne innamorano subito.

Nel corso del 1981 la questione viene discussa nella città, che per la prima volta nella sua storia deve affrontare una questione sino ad allora nascosta e marginale. Il circolo organizza un nuovo incontro nazionale in occasione del 28 giugno e nell'agosto partecipa al convegno internazionale organizzato dall'amministrazione comunale per commemorare la strage del 2 agosto.
La polemica esplode però nel marzo 1982. L'ARCI rivendica la sede del cassero alla Lega Ambiente, mentre alcuni cittadini del quartiere Saragozza iniziano una raccolta di firme contro la assegnazione ai gay (ne raccoglieranno alla fine 517). Il giornale locale (il Resto del Carlino) pubblica lettere di cittadini risentiti "..con questo non voglio dire che il problema dei gay non esista, però se uno è ammalato viene ricoverato in ospedale" "..scrivo a nome di molti abitanti della zona di Porta Saragozza che sta per essere invasa da torme di gay e drogati..". Il circolo cerca un rapporto diretto con le forze democratiche della città, organizza incontri con i partiti e con i cittadini. La questione del cassero ai gay diventa l'argomento sulla bocca di tutti e con cui l'intera città si confronta.

Il 7 Aprile, quando la questione è ormai discussa da mesi, i cattolici hanno il loro colpo di fortuna: trovano la famosa lapide sul cassero che dedica la porta alla Madonna di San Luca. Improvvisamente il cassero, utilizzato negli anni da associazioni di ogni tipo (fasciste durante il fascismo, operaie successivamente ed infine la Polisportiva di Porta Saragozza), viene considerato una specie di luogo di culto e la sua consegna ai gay un'offesa al sentimento religioso.

La risposta del circolo 28 Giugno è semplice: o Porta Saragozza è un luogo di culto nel quale nessuna presenza non religiosa può essere tollerata oppure se la questione viene posta solo per i gay si tratta di una discriminazione intollerabile, un tradimento di quel patto di convivenza che gli italiani, attraverso la Costituzione, hanno stretto tra loro.

La scelta del circolo, nonostante pressioni da più parti e la offerta di altre sedi, è di rifiutare risolutamente ogni alternativa, accettando anche il rischio di non ottenere alcuna sede pur di riaffermare il principio del rifiuto di ogni discriminazione. Il diritto dei gay di stare al cassero non è una vicenda privata degli omosessuali ma una questione di giustizia che deve coinvolgere la città intera.

Inizia la raccolta di firme per affermare un diritto che non è solo dei gay, ma di tutti. La prima firma è di Virginia Romano Lorusso, la mamma di Francesco, ucciso in via Mascarella l'11 marzo del 1977. Al manifesto aderisce tutta l'intelligenza democratica e di sinistra della città, i sindacati esprimono il pieno appoggio alla richiesta dei gay (anche la Cisl, sindacato cattolico) riconoscendo il valore di una battaglia per l'uguaglianza, le adesioni all'appello giungono infine a quota diecimila. Per il 28 Giugno viene indetta un'altra grande manifestazione nazionale mentre la Giunta ancora tentenna tra questioni di principio ed il voto dei cattolici...

Il 24 Giugno il circolo è convocato in Palazzo d'Accursio per ritirare le chiavi del Cassero. Il 26 un grande corteo si muove da piazza Maggiore fino al Cassero, la nostra sede.

La storia della presa del Cassero è raccontata da Beppe Ramina in "Ha più diritti Sodoma di Marx?", un libro edito dal Cassero nel 1993 nella collana quaderni di critica omosessuale, disponibile presso il centro di documentazione del Cassero.